Da pittore ad artista ambientalista
Sono solo le 7 del mattino nel Quuensland quando l’artista australiano John Dalsen appare sui nostri schermi per la chiacchierata programmata. Uno spiraglio di luce chiara lo illumina, dando ancora più risalto alla sua energia e alle vibrazioni che emana. Brisbane potrebbe essersi appena svegliata, ma John è più che sveglio e si è messo al lavoro da un paio d’ore, facendo le sue chiamate mattutine e discutendo un progetto a cui sta lavorando per il MAAT, il Museo dell’Arte, Architettura e Tecnologia di Lisbona.
Giovanile e saggio allo stesso tempo, presentare la sua personalità affascinante e la vastità delle sue esperienze di lavoro non è un compito semplice. La carriera di John ha inizio negli anni ‘70; è ampia e piena di riconoscimenti incredibili e premi infiniti, esibizioni internazionali e interviste con le migliori riviste d’arte. Nonostante ciò, trasmette un senso di pace e umiltà che solo in pochi hanno. Forse è l’australiano che è in lui, o l’elegante chioma di capelli, ma più che un artista di fama, sembra di parlare con un surfista di altri tempi che è appena tornato da una session di successo con onde epiche
Il lavoro di John ha più facce; varia nei mezzi e nelle tecniche utilizzate. Mentre le sue prime opere si concentravano sul colore e sulla composizione attraverso un approccio più classico alla pittura, sono le installazioni e una serie di assemblaggi che l’hanno condotto al successo. Tuttavia, recentemente ha provato a sperimentare anche gli NFT. Essere flessibile e provare continuamente cose nuove, come scopriremo dopo, è quello che lo fa sentire vivo.
Conosciuto per il suo utilizzo di materiali riciclati e il suo impegno nell’usare l’ambiente come tema principale, il suo interesse per la salute degli oceani è nato attraverso un processo graduale di presa di coscienza e comprensione che iniziò quando si trasferì a Byron Bay all'inizio della sua carriera. La casa che aveva affittato con la sua compagna aveva pareti di legno bianche che gli ricordavano i cumuli di legna che si possono trovare sulle spiagge remote del sud dell’Australia dove, un po’ di anni prima, andava a recuperare materiale per i mobili. Spinto a riprendere questa pratica, scese in spiaggia ma la ritrovò coperta di plastica. Intrigato dai colori e dalle forme dei pezzettini di rifiuti incastrati nei legnetti, che voleva prendere per creare oggetti per la casa, John si ritrovò a raccogliere oltre le 80 sacchi di plastica di scarto, che inviò subito al suo studio. Seguirono decenni di opere mozzafiato e di definizione del suo stile unico.
Abbiamo parlato con John della sua relazione con l’oceano, della sua arte, e delle lezioni che ha imparato lungo la via. Dateci una letta!
Fotografia di Nicola Redfern
OGYRE – Ciao John. Piacere di conoscerti! Il tuo CV parla da solo, ma ci potresti ricordare come sei arrivato dove sei oggi?
JOHN DAHLSEN – Tutto iniziò quando ero molto giovane. Il mio interesse per l’arte era abbastanza profondo già in giovane età. Intorno ai 17 anni, cominciai a immergermi nell’arte e a creare i primi lavori, ma non erano necessariamente collegati all’ambiente. Per circa 15 anni, o di più, son stato un pittore interessato a imparare i trucchi del mestiere per riuscire a lavorare nell’arte, facendo esibizioni, a come fare delle belle opere e a come pilotare la sua attenzione verso questi aspetti formali per fare un’arte contemporanea di qualità. La svolta è stata quando mi sono trasferito a Byron Bay 30 anni fa. La casa che avevo affitato con la mia compagna aveva queste pareti in legno bianche e mobili che mi ricordavano i cumuli di legna che recuperavo per realizzare oggetti per la casa gli anni prima. Conoscevo queste spiagge remote nel sud dell’Australia, a due giorni di macchina da dove stavamo, dove i cumuli di legna arrivavano quasi ad altezza porta. Così tornammo lì per recuperare materiale per i mobili della nostra casa, e notai che c’era una quantità infinita di plastica che arrivava sulla spiaggia per nascondersi dietro le dune e rimanere incastrata tra la legna. Iniziai a raccoglierla per portarla al centro del ricicilo locale.Ma più ne raccoglievo, più iniziavo a intrigarmi tra i colori e le forme di quello che la natura aveva fatto a un prodotto umano. Mi affascinava. La natura ha inglobato in sé e alleggerito la cruda immagine della plastica, un materiale che può essere molto duro. Ho pensato che avrei potuto tirarci fuori dell’arte da lì. Fu una sorta di momento di realizzazione. Iniziò tutto lì.
Fotografia concessa da John Dahlsen
OGYRE – È super interessante. Qual è il nome della spiaggia dove hai trovato plastica per la prima volta?
JD – L’ho chiamato a lungo spot X, ma volete sperperare al mondo il mio segreto?
OGYRE – Assolutamente no!! Quando e come arrivò nella tua vita l’interesse per l’ambiente?
JD – Non avevo un piano. In un sacco di modi, è stato abbastanza casuale. Andai a racogliere della legna e mi ritrovai circondato da un sacco di plastica. Ho iniziato a vederci la possibilità di poterci lavorare, ma sono sempre stato rispettoso verso l’ambiente. Mi definirei un artista ambientalista accidentale.
OGYRE – Ci puoi raccontare del tuo processo creativo?
JD – A volte, guardando un pezzo di plastica, penso "Oh, questo potrebbe essere quello giusto per la mia serie di totem." Tuttavia, generalmente ho un processo iterativo. Ogni cosa porta a un’altra, e in questo senso, è abbastanza organico. Ho fiducia in questo processo, per questo i miei progetti gli approccio così.
OGYRE -Come uscì fuori la collezione sugli assemblaggi?
JD – Quella fu la prima di una serie di lavori che iniziai su un grande quantitativo di plastica che avevo raccolto. Avevo abbastanza pezzi per inquadrarli in una cornice, e una volta arrangiato il tutto pareva essere un paesaggio astratto. Fu soddisfacente per i piani che avevo in termini di composizione; era un’espressione artistica molto contemporanea. Così continuai a lavorare su diversi assemblaggi a tema ambiente fino a che non ho avuto l’impressione di aver concluso una serie. Una volta metabolizzato questo, iniziai a guardare agli oggetti più grandi per capire come lavorarci. Guardai cos’è un totem nel Dizionario Oxford, e c’era scritto che era simbolo di un clan. Di conseguenza, pensai che probabilmente potesse essere indicativo dello stato di salute dell’ambiente in relazione alle persone sul pianeta. Ci sono tutti questi rifiuti che finiscono in oceano che stanno formando isolde di plastica grosse quanto il Texas tra le Hawaii e il Giappone. Cominciai a interessarmene sempre di più.