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Guardare oltre i rifuti: l’arte di Steve McPherson

A quattr’occhi con l’artista del Kent che da alla plastica una seconda chance 

L’inquinamento dei mari è un problema che pone a serio rischio la salute dell’oceano e delle creature che ospita. Ogni anno, milioni di tonnellate di plastica e detriti finiscono nei nostri mari, causando un danno significativo per l’ecosistema marino. Tuttavia, ci sono persone che si rifiutano di far sì che l'impatto negativo che l’inquinamento sta avendo vada a sovrastare la bellezza dei nostri mari.

Una tra queste è Steve McPherson, un artista che trova ispirazione negli scarti di rifiuti spiaggiati nelle sue coste. McPherson trasforma la spazzatura di ogni giorno in opere d’arte mozzafiato, che non riportano l’attenzione solamente sul tema dell’inquinamento dei mari, bensì fungono da promemoria di quanto siano potenti la creatività e l’ingegno dell’uomo.
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Foto concessa da Steve McPherson

Residente nella costa calcarea del Kent, nel Regno Unito, McPherson decise di dedicare la sua vita all’arte quando il suo sogno di diventare un pilota della RAF (Royal Armed Forces) crollò di fronte ai suoi occhi il giorno in cui scoprì di essere daltonico, all’ età di 7 anni. Da buon collezionista e amante del mare fin dall’infanzia, l’artista vide nell’arte l'opportunità di potersi esprimere e fare carriera nonostante le sue condizioni. “Non accadde per caso. Mio nonno fu di enorme aiuto nel prendere questa decisione,” afferma Steve mentre si sposta un capello grigio dal viso. “Anche lui voleva entrare a far parte delle forze armate, ma non gli fu possibile a causa delle sue condizioni di salute. Casa sua era invasa da dipinti: disegnava tutto il giorno, ma per lui era solo un hobby”. 

Dopo aver acquisito le competenze a scuola e in università, diventò professore ma decise di mollare nel 2016 per dedicarsi a tempo pieno alla sua arte. Era un “ora o mai più" confessa.
La sua passione per l’oceano è viscerale, quasi vitale per lui. Da teenager, passava i pomeriggi dopo scuola in spiaggia in solitudine, giocando e modellando i legnetti con un coltellino. Si faceva cullare dal rumore delle onde, contemplando il paesaggio e la vita lenta. Il suo interesse per l’assemblaggio si insediò nei suoi radar dal subconscio.

steve mcpherson (36)Foto concessa da Steve McPherson

Ai tempi dell’università, andava a fare skip diving – una pratica utilizzata dagli scenografi che consiste nel frugare nei cassonetti al di fuori dei siti di costruzione per trovare materiali utili per i loro progetti – ma presto si accorse di essere interessato di più all’archeologia degli oggetti. In quest’ottica, la plastica è il materiale che ha più storie da raccontare. 


“OGNI OGGETTO HA IL POTENZIALE PER RACCONTARE UNA STORIA”

“Ogni oggetto ha il potenziale per poter raccontare una storia. Dato il mio passato da collezionista, sono sempre stato interessato a scoprire che cosa si nascondesse dietro gli oggetti che avevo in mano. Dai reperti militari agli spilli, sono sempre rimasto affascinato dalla loro origine, ed è questo che mi ha ispirato a guardare oltre i rifiuti per trovarne un nuovo scopo,” afferma con un sorriso a 36 denti e il suo soffisticato accento british, che aggiunge quel tocco di romanticismo alla conversazione.

Nonostante non gli sia possibile raccogliere tutto quello che trova a riva– dato che raccogliere frantumi di piccoli pezzi di plastica incastrati tra le alghe è stancante e non piacevole– Steve è riuscito a riempire il suo garage predisponendo minuziosamente i secchi di spazzatura che trova durante le sue spedizioni. Alcuni devono essere ancora sistemati e lo terranno occupato ancora per anni.

“LA PLASTICA CHE TROVO NELLE MIE SPIAGGE È DIVERSA DA QUELLA CHE POTRESTI RACCOGLIERE IN INDONESIA. ASSOMIGLIA A DEI PICCOLI CONFETTI”

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Foto concessa da Steve McPherson

“La plastica che trovo nelle mie spiagge è diversa da quella che potresti raccogliere in Indonesia. Assomiglia a dei piccoli confetti.” Spiega Steve, “nella mia spiaggia sembra che qualcuno sia sceso e abbia fatto esplodere una bomba di confetti”. La sua spiaggia è una lingua di sabbia non troppo lontana dalla cittadina di Margate. È circondata da bellissime scogliere bianche che si sono erose col tempo con lo sbattere delle onde, causando la creazione di piscine naturali di acqua stagnante. È per lo più dentro quelle fessure che la maggior parte dei rifiuti provenienti dal mare rimangono intrappolati.” 
 
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“Parte dei rifiuti che trovo molto probabilmente risale agli anni ‘50,” dice l’artista, disegnando un quadro desolato della realtà di uno dei tratti di costa più belli al mondo.

Ma nonostante tutto – l’inquinamento, le costruzioni attorno e l’odore nauseante di alghe in decomposizione – Steve è stato capace di intrigarci con la sua narrazione in un modo in cui solo un artista avrebbe potuto. In meno di un’ora, ci ha fatto trovare un lato positivo della situazione.

Il processo creativo che sta dietro alla realizzazione di qualcosa che abbia valore e sia esteticamente piacevole, anche se fatto di spazzatura, è misterioso. Ci vuole un’immaginazione infinita per riuscire a visualizzare un pezzo d’arte da dei piccoli frammenti. Necessita anche di un sacco di tentativi. Molti dei pezzi che trova non sono utilizzabili. La colla non si attacca a tutto, per questo Steve è diventato un esperto nel distinguere che cosa è salvabile e cosa no. 

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“Sai, dopo la pandemia la cosa più comune che trovo sono le mascherine,” mi confessa, “ma la più bizzarra sono i sex toys!” dice ridendo. Anche se quelli non sono oggetti che è abituato ad usare…
L’arte di Steve non è sostenibile intenzionalmente, ma diventa implicitamente essa dati gli elementi che impiega per produrre le sue sculture e i suoi quadri. Senza volere, trasmette un messaggio di una necessità immediata di agire sovrapposto da un concetto più astratto: c’è una seconda possibilità di vita per tutto. Anche se il suo tema principale non è sempre stato direttamente collegato all’oceano, col senno di poi, confessa, tutto quello che ha creato nel corso della sua carriera possiede dei piccoli dettagli che rimandano a quello.

Durante la nostra conversazione, Steve mette in discussione qualcosa di ovvio ma che non viene mai preso in considerazione: il corpo umano è composto dal 60% di acqua. Tutto, anche le cose più remote, sono in sincronia con i cicli oceanici e i suoi movimenti.

“PERCHÉ DOVRESTI DISTRUGGERE CIÒ CHE
CI DONA L’OSSIGENO?“

 

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Foto concessa da Steve McPherson

“Noi umani facciamo parte del sistema. Perché distruggere ciò che ci dona l’ossigeno? Senza l’oceano, non c’è vita. Non c’è tempo.” sottolinea con tono serioso. 

Un sacco di organizzazioni di beneficenza hanno contattato Steve per collaborare, ma spesso si ritrova a dover rifiutare. “Vogliono che io crei delfini, cani e altri animali dalla plastica. Non sono interessato a quello. Capisco che mostrare alle persone animali in pericolo possa scaturire una reazione emotiva, ma non è quello che voglio fare.”

Steve rivela che la freschezza del suo lavoro spesso innervosisce le persone, continuando su quella tradizione artistica che utilizza l’arte come strumento di progresso e consapevolezza sociale. Mostra a loro la necessità di agire e cambiare le proprie abitudini, che non è mai scontato. A volte, il pubblico non si capacita di come faccia a raccogliere tutta quella plastica da solo. “La mia arte non ti urla in faccia. Non sono interessato a fare quella roba. È mentale.” conclude. 

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Foto concessa da Steve McPherson

Quel che fa Steve non è solo pazzesco visivamente, ma porta con sé un messaggio più profondo riguardante l’impatto dell’inquinamento marino sul nostro ambiente. Ci ricorda che ogni frammenti di rifiuti ha il potenziale per raccontare una storia, per spingere le persone a contribuire a rimediare alla situazione di pericolo in cui versa l’ambiente da decenni. È gente come lui a ispirarci per continuare a battersi per un oceano più puro e pulito.

 


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