Il mare non è assoggettabile. Lì dove non siamo più in controllo della realtà, dove il tutto è immerso in un continuo fluire ingovernabile, ci sentiamo spaesati.
L’alto mare infatti, identificato come tutto ciò che sta a 200 miglia dalle acque territoriali di una nazione, corrisponde a più del 60% della superficie marina terrestre e al 50% dell’area totale del Pianeta. A lungo, è stato ignorato dalle iniziative di salvaguardia dell’ambiente, lasciando spazio all’essere umano di assoggettarlo per gli scopi più vari. Pesca industriale, shipping, trivellazioni off-shore: queste attività stanno senza dubbio compromettendo il benestare dei mari.
Tuttavia, il 4 marzo, dopo più di quindici anni di negoziati, le Nazioni Unite hanno raggiunto un accordo per l’adozione di un trattato per la protezione dell’alto mare: il Patto per gli Oceani. È una svolta storica nell’ambito della salvaguardia ambientale perché mira a tutelare le zone situate oltre 370 chilometri dalle coste nazionali di un paese. Lì dove non esisteva giurisdizione, adesso vige un un patto firmato da quasi 200 paesi che si impegneranno a tutelare la vita marina nelle acque internazionali. Il trattato, infatti, fornisce gli strumenti legali per delineare nuove aree marine protette, per strapparle ai potenziali danni che l’insediamento di attività commerciali potrebbe causare alla salute degli oceani.
L’obiettivo sarà quindi quello di conservare e proteggere almeno il 30% degli oceani entro il 2030. Quanto sia fondamentale rimanere coerenti con questo scopo è delineato in primis dalla biologia e dall’ecologia. Non a caso, la metà dell’ossigeno che respiriamo proviene da fitoplancton oceanico, così come la temperatura stessa del pianeta è controllata dagli oceani. Assorbono la CO2 che emettiamo, producono le correnti che contribuiscono a creare il clima nordeuropeo. Se la loro temperatura aumentasse anche solo di 2 gradi, andremmo incontro a una catastrofe ecologica senza precedenti.